Bande à part-Recensione
1964, di Jean-Luc Godard
La storia è una di quelle di periferia. Siamo a Parigi. Due ragazzi, Arthur e Franz, vivono d’espedienti: hanno un decappottabile, voglia di libertà e un futuro incerto. Frequentano un corso d’inglese, dove conoscono e corteggiano una timida ragazza, Odile (Anna Karina), che, tuttavia, risponde con un certo interesse alle avances dei due. Ne scaturirà una storia ambigua, un triangolo sentimentale difficile, denso, fatto di spensierate uscite, piccole pazzie, lassismo. Bande à part è un ritratto di vita, uno spaccato di gioventù amaro, capace di coinvolgere e rompere gli schemi. Uno dei film simbolo della Nouvelle Vague, che ci ricorda quanto il cinema sia emozione, semplicità, narrazione di storie quotidiane. Memorabile il balletto al caffè, il minuto – in realtà poco più di trenta secondi – di silenzio e la rapina in cui i due giovani recitano incappucciati. La corsa al Louvre non era prevista nella sceneggiatura del film. Godard temeva che la pellicola risultasse troppo breve, quindi decise d’improvvisare una scena in cui i protagonisti avrebbero corso a perdifiato tra le immense stanze del museo. Ottenne il permesso e girò la sequenza. Un riempitivo estroso, diventato poi uno dei simboli del cinema del grande regista francese. Bande à part, inoltre, è il film che di più ha influenzato il cinema di Quentin Tarantino, tanto che egli intitolò la sua compagnia di produzione proprio A Bande Apart. Il ballo di Uma Thurman e John Travolta di Pulp Fiction è ispirato proprio a quello dei tre protagonisti. L’auto di Arthur e Franz è la stessa che Uma usa in Kill Bill II prima di uccidere Bill. Omaggiato anche da Bernardo Bertolucci in The dreamers.