La febbre dell’oro-Recensione
1925, di Charles Chaplin
La visione di alcune immagini ritraenti ricercatori d’oro durante la scalata di una montagna tra Canada e Alaska sulla strada dei preziosi giacimenti e la lettura di un libro sulle vicende tragiche – fame, cannibalismo – della spedizione Donner, illuminarono il genio di Chaplin tanto da spingerlo ad elaborare di getto una serie di sequenze comiche e iniziare così le riprese. Un film sulla solitudine, sulla lotta per la sopravvivenza, sulla dignità degli ultimi, dove Chaplin riesce mette in relazione magistralmente disperazione e comicità, dramma e ironia. In una scena del film Chaplin è intrappolato in un rifugio insieme all’esasperato Giacomone. In preda alla fame il Vagabondo decide di bollire una scarpa e mangiarsela col suo corpulento compagno. Per rendere al massimo il realismo della ripresa Chaplin pretese una serie di scarpe con suola e copertura in liquirizia e con delle caramelle al posto dei chiodi. Al primo ciak i due iniziarono quindi a divorare l’insolito pasto. Ma il perfezionismo di Chaplin portò a ripetere la scena svariate volte, tanto che il regista, a fine giornata, ebbe un’indigestione che lo allontanò per alcuni giorni dal set bloccando improvvisamente le riprese. Sforzo tutt’altro che vano, comunque. Questa de La febbre dell’oro rimane una delle scene più famose ed emblematiche del cinema chapliniano.