Frankenstein Junior-Recensione
1974, di Mel Brooks
La parodia al cinema evoca molto spesso sequenze leggere, disimpegnate, fatte insomma di una comicità grossolana, sgangherata, destinata a suscitare qua e là sorrisi e poco altro. Frankenstein Junior rappresenta qualcosa che si spinge ben oltre la semplice eccezione. Gene Wilder scrisse all’inizio degli anni settanta questa sceneggiatura che aveva come protagonisti il mostro più famoso del mondo e il fantomatico Frederick, medico e nipote del Barone Viktor von Frankenstein. Pensò poi di mostrarla a Mel Brooks che, entusiasmato dal soggetto, decise di girare. Ebbe così inizio uno dei progetti più riusciti di Hollywood. Mel Brooks cura a perfezione i dettagli del genere: il suo Frankenstein trasmette l’atmosfera dei grandi horror, e richiama in parte i classici degli anni trenta. Ma l’idea del regista ha in serbo molte sorprese. Egli, infatti, non vuole di certo mettere in scena un sontuoso remake o un semplice omaggio, ma piuttosto creare una raffinata rivisitazione alla quale imprime la sua arte, aggiungendo in dosi massicce ciò che meglio gli riesce: ovvero comicità allo stato puro. Trovate in serie, ritmo dirompente, gag, personaggi irresistibili. Ne scaturisce la migliore creatura di Brooks e in assoluto la sua opera più famosa. Il “Si può fare!” urlato da Wilder e il nitrito dei cavalli al suono di “Frau Blucher” sono ancora oggi una sorta di mantra di cinefili e semplici appassionati. La scena con l’eremita ( Gene Hackman ) è uno spasso totale. Uscì nel 1974, e al cinema ebbe un grande successo.