Un chien andalou-Recensione
1929, di Luis Buñuel
Verso la fine degli anni venti Salvador Dalí incontra in una zona della Catalogna, durante le festività natalizie, Luis Buñuel. I due parlano di arte e cinema. Poi un onirico scambio di battute : “Questa notte ho sognato di avere la mano piena di formiche”, dice Dalì. “Questa notte ho sognato di tagliare un occhio a qualcuno”, risponde Buñuel. Il progetto di Un chien andalou nasceva quella sera a seguito di questi racconti visionari, spinto più che mai da una molla artistica carica di fermento e talento. Il sodalizio fu senz’altro azzeccato: idee a valanga e sintonia totale. Il copione fu scritto in appena una settimana. Dalí tornò alla sua arte, Buñuel iniziò le riprese in Francia, dove stava lavorando. Uscì nelle sale – era il 1929 – il manifesto del surrealismo francese, ovvero il linguaggio dell’anima di due artisti visto attraverso figure estreme, violente, disturbanti, tra grottesco e ridicolo, a tratti erotiche, fuori comunque da ogni logica e razionalità. Lo staff venne scelto da Buñuel, e gli attori recitarono seguendo scena per scena le istruzioni del regista senza badare minimamente allo studio della parte e del copione. Le sequenze ispirate ai sogni prima citati vennero inscenate senza finzioni, al fine di rendere al massimo l’impatto visivo. Luis si fece spedire da un amico in Spagna delle grosse formiche rosse che arrivarono sul set in un legno marcio dentro un recipiente di latta. Si procurò poi la testa di un vitello, la quale venne tosata e truccata accuratamente dallo staff prima del ciak. Nella scena iniziale Buñuel stesso ha in mano un rasoio; immobilizza la testa di una donna, le spalanca con le dita le palpebre e, nello stacco successivo, seziona l’occhio dell’animale. Il risultato è sconvolgente. Per stomaci forti. Iniziava così la carriera del più grande regista spagnolo di tutti i tempi.