The Hateful Eight-Recensione
2016, di Quentin Tarantino
Diciamo subito che l’idea – che è fusione perfetta tra cinema e teatro – di far muovere un manipolo di personaggi all’interno di uno spazio chiuso non è una novità assoluta in ambito cinematografico. Lo ha fatto Bunuel, Lumet, Hitchkcook e Polanski nei suoi ultimi due film. Precisazione di poco conto ma doverosa, specie quando dietro alla macchina da presa c’è un regista, cinefilo per eccellenza e citazionista instancabile, come Quentin Tarantino, che ha di fatto trasformato la storia del cinema in uno degli elementi imprescindibili di tutta la sua carriera. Ecco quindi The Hateful eight, ottava fatica di un cineasta ambizioso che mantiene, dopo Django Unchained, tutti i caratteri storici e leggendari del western americano e non. Almeno in apparenza. Perché in The Hateful eight, non appena ci si abitua al bagliore di sperduti scenari e carrozze di fordiana memoria, il filone narrativo subisce una sorta di frattura, muovendo tutto il meccanismo filmico verso una lenta e circoscritta investigazione che, grazie ad un susseguirsi di parole e di continue sfumature , ricorre senza indugi a quelle collaudate atmosfere da classico del genere, senza tuttavia abusarne. Ed ecco che il film si allonta dalla frontiera e dall’eroismo, per trovare, causa un’incalzante bufera di neve alle spalle, le mura cupe e apparentemente accoglienti di una masseria sulle strada per Red Rock. Nel Wyoming dell’immediato dopoguerra – guerra civile americana-, tutto si tinge di sospetto in un contesto in cui la verità gioca a nascondersi tra le plurime stratificazioni dei sui detestabili protagonisti. Cowboy, boia, cacciatori di taglie, ex ufficiali, e un’assassina che, tra le mani del suo cacciatore, ha già di fatto un piede nella fossa. Sei capitoli, otto odiabili personaggi e un sottile equilibrio destinato a crollare in una violenza sfrenata che è anche una delle immancabili firme che siglano l’autenticità di una delle menti più brillanti del cinema contemporaneo. Un Tarantino quindi fedele a se stesso, certo, ma ancora motivato e più che mai esigente nell’esercitare la sua dote di cineasta ed autore. Ed è proprio come autore che il regista di Pulp Fiction trova un ulteriore slancio e una solida consapevolezza: dialoghi ormai ripuliti di quell’autoreferenzialità del passato che puntano, come in una prosa d’altri tempi quanto mai sottile, al profilo di soggetti singolari e alle sfaccettature di caratteri ambigui, tutti a loro modo affascinanti. Una suggestiva narrazione corale che per circa due terzi di film accumula e si arricchisce, di certo prolissa in alcuni passaggi, con un ritmo che inevitabilmente cede qualche punto alla dinamicità dell’azione e alla fluidità. E poco conta il lamentio poco attento di chi la butta in noia e lentezza. Una scelta, quindi, che ha fatto storcere il naso ad una certa parte di fan o presunti tali. Quel pubblico, insomma, che associa Tarantino ad un crescendo costante di spettacolo dal timbro debordante e iperbolico; quello, insomma, delle pallottole e degli inseguimenti mozzafiato, dei fiotti infiniti di sangue e dell’azione reiterata. Ecco quindi un Tarantino più che mai ispirato pedinare per buona parte del film una vena creativa meno compiaciuta, senza eccessi di formalismo, più narrativa, di certo meno in sintonia con le esigenze dello spettatore e con una cifra stilistica legata ad un binario cinematografico ormai di culto. Un rischio che Tarantino affronta da artista maturo, tanto da far pensare ad un cinema che punta ad alleggerire il lato prettamente estetico del suo lavoro per concentrarsi a tutto campo sulla forza della parola, sulla preziosa sceneggiatura, inscenandola con una calma densa di contenuti e con un’ incredibile consapevolezza, per attribuire ad ogni termine, smorfia e azione il giusto peso e la giusta collocazione. Tarantino cresce e matura, quindi. E non è certo un caso se alcuni ambiti tematici, da Bastardi senza gloria in avanti, vadano via via arricchendosi di un sempre più penetrante occhio critico sulla storia e sul razzismo come parte integrante di questa. Infine, da supporto, tutto un ricco contorno di elementi di atavico prestigio che sono anche una preziosa risorsa di valori aggiunti: musiche di Ennio Morricone – è il primo film in cui Tarantino inserisce una colonna sonora originale – e un corredo di attori che vanno dalla certezze degli esordi – Samuel L. Jackson, Tim Roth, Michael Madsen -, fino a Jennifer Jason Leight nei panni di Daisy, quella donna sporca e maltrattata che è anche il personaggio migliore del film. Per pochi fortunati la versione Ultra Panavision 70 mm, glorioso formato dai connotati epici che aggiunge, oltre al maestoso impatto visivo, anche qualche modifica a livello di struttura e di contenuti.
Paese-Anno: Usa 2015 - Titolo Originale: The Hateful Eight- durata: 188' - Regia: Quentin Tarantino - Data di uscita: 29gennaio 2016 - Interpreti: Bruce Dern, Channing Tatum , Craig Stark, Dana Gourrier, Demian Bichir, Gene Jones, James Parks, Jennifer Jason Leigh, Keith Jefferson, Kurt Russell, Lee Horsley, Michael Madsen, Samuel L. Jackson, Tim Roth, Walton Goggins, Zoe Bell